Vetro, carta, plastica e metalli a peso d’oro

di Francesco Bellizzi, Gabriella Bechi e Alessandra Porro

L’articolo è disponibile sull’ultimo numero di Mondo Agricolo, cartaceo e on line

A luglio, la produzione di carta e di cartone da imballaggio ha subito una flessione del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con massime del 7,5% per il cartone ondulato. Il settore è in difficoltà e lo dimostra anche il fatto che sono varie le imprese cartarie che non hanno rinnovato il contratto per l’anno energetico 2022-2023 iniziato questo ottobre. In affanno anche le industrie di imballaggi in plastica e metallo, che mettono l’accento non tanto sull’incremento dei costi di produzione (l’anno scorso il tasso era del 16%, oggi si aggira sull’1,5) quanto sull’approvvigionamento della materia prima. Una difficoltà che si sta ripercuotendo sui tempi di consegna degli ordini già contrattualizzati, che vengono gestiti in larga misura con gli stock in magazzino. Situazione ancora più difficile quella delle vetrerie europee, che consumano grandi quantità di gas per tenere i loro forni a 1.400 gradi Celsius. I rincari stanno mettendo in crisi gli impianti e il settore sta facendo pressioni su Bruxelles e sui singoli governi per un accesso preferenziale alle prossime forniture di metano. Sembrano essere proprio le materie prime secche il Tallone di Achille del settore primario. Partiamo dai cereali, il cui indice FAO sui prezzi a ottobre è diminuito dell’1,4% rispetto al mese precedente. Un risultato su cui incide il calo del 5,1% dei prezzi internazionali del grano. Effetto, questo, delle migliori prospettive di produzione in Nord America e della ripresa delle esportazioni dai porti ucraini del Mar Nero.

Sulla piazza italiana, il risultato è un prezzo al quintale poco sotto i 50 euro per il grano. “Il prezzo minimo per garantire redditività ai produttori”, commenta l’imprenditore e componente di giunta, Filippo Schiavone. Ma allora cosa sta spingendo i costi attualmente? Rispetto ad aprile 2021, infatti, la soia è aumentata del 15%, il mais del 59% e l’orzo del 90. “La causa – spiega Schiavone – è da ricercare negli incrementi spropositati delle materie prime usate nei campi e nel packaging dei prodotti trasformati”. Lo stesso freno alla redditività si registra nella vitivinicoltura. Gli effetti sulle aziende del comparto sono imponenti con il prezzo delle bottiglie in vetro saliti del 30%, a cui si aggiunge l’aumento del 10% per i tappi in sughero.

Un miliardo e mezzo di euro: ecco quanto è costato da inizio anno l’aumento del prezzo del gas alle imprese del vino italiano. Un dato composto dal surplus dei costi energetici (425 milioni di euro) e dal (conseguente) surplus dei materiali, pari a oltre 1 miliardo (l’83% degli incrementi). Questi dati – contenuti nell’indagine svolta dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly su una platea di aziende rappresentativa del 30% del mercato – testimoniano come i prezzi, in salita dal 2021 e schizzati con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, stiano incidendo anche un comparto, quello del vino, che ha superato lo scoglio della siccità, che sta gestendo l’aumento dei costi di produzione e che, quindi, sarebbe pronto a recuperare il terreno perso con l’emergenza pandemica. L’attuale incremento dei listini del 6,6% non basta, tanto che il presidente dell’Unione Italiana Vini e componente di giunta Confagricoltura, Lamberto Frescobaldi, chiede “un patto di filiera” per “assorbire parte degli aumenti e non scaricarli completamente sui consumatori”. Per la vitivinicoltura il problema principale è la scarsità di bottiglie sul mercato. “Le vasche sono piene del vino della scorsa vendemmia, gli imbottigliamenti vanno a rilento perché mancano le bottiglie”, diceva sullo scorso numero di MA Francesco Cambria, vitivinicoltore e presidente del Consorzio Tutela Vini Etna Doc. Lo conferma oggi Paolo Mastroberardino, enologo e titolare di Terredora, azienda avellinese da 175 ettari e una produzione.

che sfiora il milione di bottiglie Doc e Docg. “La produzione di vetro è in sostanza bloccata. Sia in Europa che in Italia, dove si trovano sette vetrerie, attualmente tutte impegnate in interventi di risparmio energetico sulle proprie strutture. A ciò si aggiunga la domanda crescente dell’industria dell’acqua minerale che, dalla plastica, sta tornando al vetro”, spiega. La carenza di bottiglie è tale che i produttori stanno cambiando i formati. “Le mezze bottiglie sono ormai introvabili, il mio ordine di fine 2021 doveva essere consegnato a febbraio, ma ancora non arriva. Non per cattiva volontà del fornitore ma perché vetro, energia e silice, i tre elementi alla base della produzione, oggi costano tantissimo oltre a scarseggiare”. Il rallentamento del processo di imbottigliamento incide sulle strategie commerciali. “Con il costo per bottiglia passato centesimi in nove mesi da 32 a 62 centesimi, liquidità e capacità di stoccaggio sono due caratteristiche necessarie oggi”, spiega Mastroberardino. “Solo le realtà più strutturate possono permettersi di tenere immobilizzati in magazzino bancali di bottiglie per coprire le emergenze e i frequenti cambiamenti degli ordini dei clienti”. Chi coltiva uva e produce vino fa i conti anche con una clientela che inizia a centellinare gli acquisti. “Io lavoro in particolare con l’Ho.Re.Ca e quello che sto notando – continua Mastroberardino – è una tendenza a posticipare gli ordini e ad acquistare solo ad esaurimento delle scorte”. Il vetro a peso d’oro colpisce anche i birrifici artigianali, che fronteggiano anche la scarsità di anidride carbonica. Assobirrai parla della possibilità di recuperare quella prodotta durante i processi di fermentazione, ma si parla di tecnologie molto costose. Anche l’olio d’oliva vive difficoltà analoghe essendo commercializzato in larga misura in contenitori di vetro. Nel mondo ogni anno se ne producono 3 milioni di tonnellate e di queste circa 2 si concentrano in Europa. L’Italia è al secondo posto nella classifica (al primo, la Spagna) ed è il Paese più vicino all’obiettivo del 25% di coltivazioni bio fissato per il 2030 dalla strategia Farm to Fork.

Al contrario del vino, però, l’olivicoltura sta facendo i conti con una forte riduzione delle rese dei campi. “Le cause sono due – spiega il presidente di Assofrantoi, Paolo Mariani -: il caldo eccessivo che ha colpito le piante e la ciclicità del nostro comparto. Il 2021 è stata un’annata molto positiva, quindi, quest’anno avremo una resa minore”. La raccolta è iniziata da qualche settimana e si concluderà a gennaio. Secondo le previsioni della Commissione Ue, con una flessione del 30% rispetto alle oltre 300mila tonnellate dell’anno scorso, se ne attendono 200-230mila. In questo contesto si inserisce la difficoltà nel reperire sia contenitori di latta, sia bottiglie. “L’approvvigionamento di materiale per il packaging è cresciuto del 30-40% – commenta Mariani -. Le bottiglie scarseggiano e questo crea problemi agli ordini già concordati, soprattutto quelli fatti dalla Gdo con cui ci sono scadenze fisse non modificabili”. Il settore, oltre a politiche del lavoro più efficaci, “ha bisogno di un Piano strategico nazionale sulla falsariga di quello spagnolo, che inquadri la produzione in chiave di reddito”, aggiunge il presidente di Assofrantoi.

La provincia di Ragusa, in Sicilia, è la patria della produzione di ortaggi sotto serra. Qui la situazione apparentemente è meno grave che in altre parte d’Italia, perché generalmente le serre non sono riscaldate, ma, a parte l’energia, gli aumenti dei costi di produzione, come fertilizzanti e concimi, incidono pesantemente sui prezzi di produzione e per chi trasforma ci sono anche quelli per gli imballaggi. “Le maggiori preoccupazioni vengono dalle incertezze del mercato e dalla conseguente difficoltà di pianificare la campagna – spiega Guido Grasso, titolare dell’azienda agricola Dorilli in provincia di Ragusa, dove, in nove ettari di superficie coperta, si producono pomodori di alta gamma -. Non abbiamo assolutamente idea se i costi di produzione aumenteranno ancora, né a quanto venderemo il prodotto a gennaio e né se quel prezzo sarà in grado di coprire i costi. Per questo, la maggior parte dei produttori ha deciso di ridurre o al massimo confermare le semine. Il tutto accoppiato ai danni provocati dalla diffusione del virus Tomato brown rugose fruit a cui non si è ancora trovata una soluzione”. La situazione peggiora se si parla di vivaismo orticolo, particolarmente sviluppato nel Ragusano. ”L’obbligo di riscaldare le serre ha provocato un aumento dei costi di produzione del 30% rispetto allo scorso anno – fa notare il Centro Seia, azienda produttrice di giovani piante che opera con propri siti, oltre che in Sicilia, in Europa e negli Stati Uniti – e questo aumento si ripercuote inevitabilmente sugli agricoltori, che sono i nostri clienti” .

Non va meglio per la frutta. “Si è innescata una miscela esplosiva tra costi di produzione triplicati, effetti delle calamità naturali e quotazioni all’origine insoddisfacenti, a cui ora si è aggiunta anche la richiesta di alcuni gestori di energia di avere pagamenti in anticipo o garanzie attraverso fideiussioni. Il nostro – ricorda il presidente della Federazione nazionale Frutticoltura di Confagricoltura, Michele Ponso – è un comparto energivoro: produciamo e stocchiamo i prodotti in attesa di riuscire a venderli, nella speranza, ormai disattesa, di compensare almeno i costi di produzione. Una simile condizione non si è mai verificata e, senza azioni immediate, rischia di diventare insostenibile”.

Particolarmente critica la situazione delle mele, a causa dei costi della conservazione in frigo e di quelli per gli imballaggi, in carta o in plastica, più che raddoppiati rispetto a qualche mese fa. E quella delle pere. Come evidenza una indagine di Confagricoltura Emilia-Romagna, la produzione stimata per la campagna 2022 è in calo del 10% sul 2020. A cadere a picco sono soprattutto i ricavi delle aziende agricole, con una flessione pari al 30%. Nelle province di Ferrara, Modena, Bologna e Ravenna dove si concentra oltre il 70% della produzione italiana, i frutti raccolti sono più piccoli del passato, cotti dal sole o comunque non commerciabili a causa di spaccature e altre anomalie. Poi ci sono i costi di produzione. “Quello del gasolio agricolo è raddoppiato, quello dell’acqua è cresciuto di sei volte tanto. Si allarga a dismisura anche la forbice tra i prezzi al campo e quelli sui banchi del supermercato – sottolinea il presidente dei frutticoltori di Confagricoltura Emilia-Romagna, Marco Piccinini -. Stavolta la pericoltura italiana potrebbe davvero scomparire. E con essa se ne andrebbe, peraltro, una eccellenza regionale e un patrimonio ambientale impareggiabile: l’Emilia-Romagna ha già perso più di 50mila ettari di frutteti in 25 anni”.

Problemi anche per il comparto delle nocciole, come è emerso nell’incontro annuale UE-Turchia a cui Confagricoltura ha partecipato con Gianluca Griseri, rappresentante dell’Organizzazione al Tavolo nocciolo del Mipaaf. Nonostante le previsioni 2022-2023 stimino una produzione che potrebbe raggiungere le 87 mila tonnellate, dato comunque sempre al di sotto della media nazionale, la campagna in corso è stata fortemente condizionata dall’anomalo andamento climatico, caratterizzato da siccità prolungata e alte temperature; dal continuo incremento dei costi di produzione; dagli attacchi parassitari e dalla progressiva riduzione di molecole disponibili per la difesa fitosanitaria. Tutti fattori che stanno intaccando in modo preoccupante la marginalità economica delle imprese corilicole”.