Autorevolezza e gentilezza, il nuovo dg di Confagricoltura

(L’intervista è presente sul numero di Mondo Agricolo di giugno, disponibile qui)

di Gabriella Bechi

Quarantasette anni, siciliana, un marito e due bambini ancora piccoli, Annamaria Barrile è il nuovo direttore generale di Confagricoltura. Una donna che dietro la sua esile figura e i suoi modi gentili, rivela grande professionalità, temperamento, ma anche schiettezza e trasparenza. Arrivata in Confagricoltura tre anni fa, forte di una lunga esperienza da dirigente d’impresa, si è subito distinta per le sue capacità, ma anche per la facilità di comunicare con i colleghi, per la sua voglia di conoscere un mondo nuovo, di imparare.

Dottoressa Barrile, lei viene dal mondo delle imprese, come ha vissuto il passaggio a quello del sindacato?

Sono arrivata in Confagricoltura per occuparmi di relazioni istituzionali e proprio in questo ruolo ho potuto constatare di persona ed apprezzare la straordinaria possibilità di accesso e dialogo diretto con gli interlocutori istituzionali. Questo consente di essere, con autorevolezza e progettualità, parte attiva nel processo decisionale pubblico. Inoltre, ho apprezzato da subito il valore della cultura sindacale, che si muove non per il proprio profitto, ma per quello altrui, che in questo caso sono le imprese che rappresenti.

Cosa ha trovato di positivo e di negativo in Confagricoltura?

Ho trovato soprattutto grande competenza tecnica, a tutti i livelli, nella sede nazionale e in quelle territoriali. Se non avessi avuto il supporto di colleghi così preparati ed amici il mio inserimento nel Palazzo non sarebbe stato così facile. E in questo devo ringraziare soprattutto il mio predecessore, Franco Postorino, che mi ha trasmesso molto, non solo in materia di agricoltura, ma anche e soprattutto, mi ha insegnato cosa significhi fare sindacato. 

Quello che manca in Confagricoltura è forse quella che si definisce la cultura d’impresa, che non può essere travasata nel sindacato in maniera acritica, ma che deve essere perseguita attraverso il lavoro per obiettivi, la valorizzazione delle persone e dei loro talenti, il riconoscimento dei meriti.

Come intende muoversi per mettere in pratica questo suo progetto?

Innanzitutto intendo andare per gradi. Non si può salire una scala tre gradini alla volta. Alla base ci sarà il concetto di fare squadra, stando più insieme, possibilmente in presenza, stabilendo appuntamenti fissi a tutti i livelli. Dovremmo imparare anche a comunicare di più, per condividere informazioni, idee e progetti, superando le barriere del personalismo e del protagonismo. In questa cornice, fondamentale sarà la valorizzazione delle persone.

Per questo a breve partirà un progetto di assessment “Coltiviamo i nostri talenti”, in cui ogni dipendente verrà sottoposto a un test, certificato a livello internazionale, con restituzione di un feedback automatico, che metterà in luce capacità e potenzialità, che saranno sviluppati attraverso specifici corsi di formazione organizzati con Enapra, in modo da valorizzare i “talenti” di ognuno. Infine, il lavoro per obiettivi, raggiungibili e valutabili, e soprattutto, se colti, riconosciuti e premiati.

Lei è la prima donna nella storia della Confagricoltura ad assumere il ruolo di direttore generale. Come vive questo riconoscimento?

Ora con grande orgoglio ed entusiasmo, ma all’inizio anche con travaglio, perché non era nelle mie aspettative. Credo che con la scelta di una donna alla direzione generale il presidente Giansanti abbia voluto dare un forte segnale di coraggio e rinnovamento. Non sono una femminista stucchevole, ma credo nella parità di opportunità in senso stretto, e sono convinta che la donna possa portare valore aggiunto nell’ambiente di lavoro, anche in posizioni di leadership, grazie alla gentilezza e alla inclusività che le appartengono naturalmente. D’altra parte in Confagricoltura, nella sede nazionale, le donne sono la maggioranza e spero che in me trovino un modello da perseguire e raggiungere. Diverso è il discorso a livello territoriale, ma confido nel “buon esempio” del Centro.

Nei suoi primi interventi lei ha ricordato, facendole sue, le cinque parole chiave che il presidente Giansanti aveva stigmatizzato all’inizio del suo mandato: consapevolezza, responsabilità, orgoglio, avanguardia, successo? Perché?

Mi ritrovo in queste parole e le ho fatte mie, prendendole in prestito ovviamente, perché dobbiamo essere consapevoli e orgogliosi della “maglia” che indossiamo, il che comporta anche delle responsabilità, soprattutto in questo momento particolarmente complesso. Questo ci deve spingere ad essere più efficienti, ad organizzare meglio il lavoro, anche per liberare tempo, e soprattutto per liberare la mente. Solo così si può guardare lontano, essere all’avanguardia. E raggiungere il successo.

 

Quale deve essere secondo lei il ruolo del direttore generale in un’organizzazione professionale come Confagricoltura?

Nella struttura centrale vorrei essere la guida di un team di persone straordinarie. Per il presidente e la giunta un supporto, per il territorio un “direttore d’orchestra”, che ascolta, motiva, fa dialogare. Non dimenticando mai il fine ultimo della nostra mission: la tutela degli interessi delle imprese.