Intervista a Marco Fortis (Fondazione Edison): “Le eccellenze non bastano”

(L’intervista è presente sul numero di Mondo Agricolo di giugno, disponibile qui)

di Gabriella Bechi

 

Per Marco Fortis (direttore e vicepresidente della Fondazione Edison) la crisi di oggi impone di rivedere la strategia agricola nazionale, prima che le crepe aperte nella sicurezza alimentare europea, dopo le grandi colture, intacchino anche le punte di diamante del made in Italy   

 

Professore, al convegno organizzato da Confagricoltura sulla “Food security”, a Cibus, lei ha mostrato il boom di produttività del lavoro nella manifattura italiana. Cosa è successo? Perché siamo diventati così virtuosi?

Prendere in considerazione gli ultimi venti anni è una maniera troppo semplicistica di guardare all’andamento dell’economia di un Paese. Dal 2001 al 2014 ci sono stati tre shock che hanno fortemente rallentato la crescita dell’Italia, e non solo: il primo, l’impatto della globalizzazione e la nuova competizione dei mercati asiatici, in particolare della Cina, con l’ingresso nel Wto, che hanno provocato un forte rallentamento della produzione industriale e dell’economia.

Il secondo shock è rappresentato dalla crisi finanziaria del 2008, causata dai titoli tossici, con il crollo delle borse e dei mercati internazionali; il terzo, la crisi del debito sovrano europeo, nel 2010-2011, con gli aggiustamenti fiscali richiesti e le conseguenti misure di austerità successive, che hanno causato una forte riduzione dei consumi. Dal 2014, però, è iniziata una fase di recupero, con una ripresa del potere d’acquisto delle famiglie e dei consumi e con un rilancio degli investimenti, grazie anche alle agevolazioni del superammortamento introdotte e alle misure di Industria 4.0, che hanno consentito un notevole aumento della produttività in molti settori e un forte miglioramento della nostra bilancia commerciale, elementi che hanno retto anche durante la difficile fase della pandemia causata dal Covid. 

 

Sempre a Cibus, ci ha ricordato come siamo virtuosi anche nell’agrifood: primi al mondo in molti nostri prodotti e primi per alcuni saldi commerciali.

Si, questo andamento positivo degli ultimi dieci anni ha riguardato anche l’agroalimentare che, tra l’altro, ha avuto il vantaggio di non essere stato colpito pesantemente dalla pandemia e dai lockdown. Complessivamente, grazie anche alle misure di sostegno alle famiglie, il potere d’acquisto non ha subito significative flessioni e l’export si è ripreso rapidamente, superando per la prima volta i 50 miliardi di euro. Questo vale per tutti i prodotti del made in Italy agroalimentare, ma in particolare per quelli che io ho definito i magnifici sette: vini e uve; pasta e riso; ortaggi, frutta e loro preparazioni; prodotti da forno; formaggi e latticini; conserve animali; cioccolata e preparazioni con cacao. 

 

Ma ha anche evidenziato alcune criticità, a partire dall’andamento dei prezzi delle materie prime a livello globale. Questo fenomeno è emergenziale o strutturale? Come possiamo mitigarlo?

Ora è un’emergenza, ma il fenomeno è strutturale e dipende da alcune scelte che sono state fatte a livello europeo e dai singoli Paesi. La Pac, quando è stata creata, aveva l’obiettivo di garantire l’autosufficienza alimentare, concetto che via via si è diluito, ma in maniera diversa tra i vari membri della Ue. La Francia, ad esempio, non ha mai smesso di coltivare cereali. L’Italia è diventata, invece, il “luxury” dell’agroalimentare, abbandonando via via la coltivazione di materie prime, come la soia, di cui eravamo il primo produttore europeo.

Ora che scarseggiano, dovremmo riflettere su certe scelte, perché la scarsità di certezze di approvvigionamento a monte si riflette anche sulle eccellenze. Il tema della sicurezza alimentare, che la guerra ha portato prepotentemente alla ribalta, è molto importante, soprattutto per le sue ripercussioni a livello globale e in particolare sui Paesi a basso reddito, molti dei quali si affacciano sul Mediterraneo.

 

Oltre all’aumento del prezzo delle materie prime, pesa sulle imprese e sulle famiglie quello dell’energia. L’Italia è tra i Paesi più vulnerabili in quanto ad approvvigionamento di gas e petrolio. Quali sono le cause? E quali le possibili soluzioni?

Alla base c’è una politica miope del nostro Paese, ma anche dell’Europa in generale, che ha portato ad una dipendenza dalla Russia così consistente. Si doveva, e si poteva fare, investire su diverse alternative. Le dico solo che Edison è totalmente autosufficiente dal gas russo e che dal terminale Adriatic LNG, la prima struttura off shore al mondo per la ricezione, lo stoccaggio e la rigassificazione di gas naturale liquefatto, arriva il 20% del gas che importiamo in Italia, attraverso una rotta totalmente indipendente dai gasdotti via terra.

Ora l’Italia, per sopperire al gas russo, si sta rivolgendo a Paesi come l’Angola o il Congo, altamente a rischio di instabilità politica, sociale ed economica. Io guarderei, invece, con maggiore interesse, ad Israele e al progetto EastMed Poseidon, che potrebbe portare in Puglia 12 miliardi di metri cubi all’anno. E’ vero che la realizzazione del gasdotto richiederà tre o quattro anni, ma è un tempo ragionevolmente breve, tenendo conto che l’Europa qualche aggiustamento dovrà farlo sugli obiettivi di decarbonizzazione, dal momento che fino al 2040 non credo che potremmo fare a meno del gas.

C’è poi tutto il discorso delle rinnovabili. Io ho lavorato nel gruppo Ferruzzi e non sto qui a ricordarle tutte le occasioni perse, dall’etanolo, alla chimica verde, alle plastiche biodegradibili. Oltre al fatto che Serafino Ferruzzi aveva avuto una visione innovativa sull’approvvigionamento italiano di materie prime agricole analoga a quella di Mattei sul petrolio. Anche in questo campo ora bisogna correre ai ripari e mi auguro che il governo non si lasci sfuggire le grandi opportunità che possono arrivare proprio dall’agricoltura.  

 

Quale ruolo può avere l’agricoltura nel nostro Paese?

Fondamentale. Anche se il suo peso nel Pil è limitato, essa svolge un ruolo basilare nella difesa dell’ambiente e nella manutenzione del paesaggio, portando vantaggi enormi ad altri comparti, come il turismo. Inoltre, insieme all’industria alimentare, è il primo settore produttivo per valore aggiunto e occupazione. Occorre puntare sull’agricoltura, come produttore di materie prime e di eccellenze alimentari ed anche di energia.

 

Qual è la sua visione per il futuro?

Ora siamo entrati in una fase oscura e molto incerta, il cui esito dipenderà essenzialmente dalla durata del conflitto russo-ucraino. L’aumento dei prezzi delle materie prime sta incidendo pesantemente sui costi di produzione, anche a causa di fenomeni speculativi che si sono innescati. A questo si aggiunge il pericoloso aumento dell’inflazione, che potrebbe portare ad una forte diminuzione del potere di acquisto in molti Paesi e dunque dare il via ad un nuovo periodo di recessione. Ma se si arriverà presto ad una risoluzione del conflitto, credo che il sistema economico italiano terrà, proprio perché siamo più forti di dieci anni fa.

 

FONDAZIONE EDISON E IL DIALOGO CON LE FILIERE PRODUTTIVE

La Fondazione Edison è nata nel 1999 (sino al Maggio 2002, Fondazione Montedison Comunità e Innovazione), con l’obiettivo di rendere stabile, approfondire e ampliare il dialogo non solo con il mondo dei distretti e delle Pmi, ma anche con gli studiosi dell’argomento, portato avanti dall’azienda dagli anni ’90. La Fondazione promuove studi, ricerche, pubblicazioni, eventi, sia autonomamente sia in collaborazione con realtà esterne, sia concedendo il patrocinio ad iniziative coerenti con i suoi scopi statutari.

La Fondazione si propone di catalizzare intorno ai suoi programmi i contributi di Università, centri studi di imprese grandi e piccole, enti e istituti di ricerca, altre importanti associazioni e fondazioni, nonché singoli cittadini, che si occupano dei problemi dei sistemi locali, il cui ruolo in Italia è fondamentale per la competitività industriale, per la tenuta dell’occupazione e per il saldo della bilancia commerciale, a cui i distretti di piccole e medie imprese contribuiscono in modo determinante.